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Procida

...a spasso per l'isola di Arturo

"La mia casa sorge, unica costruzione, sull'alto di un ponticello ripido, in mezzo a un terreno incolto e sparso di sassolini di lava.
La facciata guarda verso il paese, e da questa parte il fianco del ponticello è rafforzato da una vecchia muraglia fatta di pezzi di roccia…"
(tratto dal libro "L'isola di Arturo" di Elsa Morante)


Questa la descrizione che il giovane Arturo fa della sua casa Procidana. L'abitazione da cui, il suo piccolo cuore di ragazzino, iniziava le esplorazioni immerso nella profonda bellezza e crudezza dell'isola. Leggendo la descrizione quasi pittorica della Morante, non si fatica di certo a comprendere la particolare orografia della più piccola delle isole, che con Ischia e Capri, formano l'arcipelago Campano.
Situata praticamente di fronte al litorale flegreo, con Monte di Procida talmente vicino che, nelle belle e fresche giornate autunnali, sembra quasi di poterlo "toccare"!
La si può raggiungere via mare con le compagnie di navigazione, più o meno ufficiali, partendo da Napoli o da Pozzuoli, traghettando il Canale di Procida, costeggiando Capo Miseno, con il suo faro, ed il golfo di Baia, sormontato dal castello Aragonese, che offrono decisamente un bel colpo d'occhio e distraggono piacevolmente i viaggiatori, dall'attraversamento di un tratto di mare non sempre "tranquillissimo".

Arrivando sull'isola ci accoglie subito un tipico paesaggio marinaro. Piccole abitazioni multicolore che fanno da intermezzo alle infinite sfumature di blu, che solo il mare ed il cielo di queste terre sanno offrire.
Una volta sbarcati, è impossibile non notare sulla destra, il grande palazzo rosa, orlato con quelle particolari geometrie che filtrano il passaggio tra terra e cielo, che lascia subito correre la fantasia riportandoci ancora ai racconti di Arturo, al "mito" dell'amalfitano e di quello che accadeva tra le mura della sua casa. A guardarlo piacerebbe pensare che un tempo in esso si siano visti scintillare giovani occhi pieni di speranze.
Oggi i gabbiani, come fedeli sentinelle, proteggono i sogni ed i desideri di quei ragazzi, mentre le generazioni più mature assistono ai cambiamenti con l'occhio attento e falsamente indifferente di chi ha conosciuto le più intime profondità di quel immenso manto ondoso che avvolge l'isola.

Gli abitanti di Procida, hanno da sempre un rapporto viscerale con il mare, sono stati grandi naviganti e abili pescatori, uomini capaci di lasciare per mesi interi, a volte per anni, le proprie donne, i propri figli su di un'isola che non cela la sua "durezza".
Basta, infatti, abbandonare i lucidi smalti bianchi della nave e, metter piede sull'isola, per trovarsi subito di fronte ad irte "lingue nere" di basalto lucido di sole. Percorsi che s'inerpicano senza visuale verso la zona alta del paese. Sono strade strettissime e sinuose, appena sufficienti a consentire la circolazione dei veicoli che di tanto in tanto s'incontrano sull'isola. Voluttuosi manti scuri che per lo più scorrono tra quei tanti parallelepipedi multicolori che si aggrappano alle rocce dell'isola.
Quell'aggrapparsi tipico di chi deve adattarsi ad un territorio. Quell'aggrapparsi che la costruzione del vecchio carcere (quella che chiamano terra murata) propone senza mezze misure!

"…La cittadella del penitenziario mi sembrava una specie di feudo lugubre e sacro…"
"…Il sole, su quelle strade, mi pareva un'offesa…"

Certo ai tempi di Arturo quel penitenziario doveva essere senza dubbio una stonatura, un'enorme malvagità rinchiudere degli uomini in posto tanto bello! Dalla rocca, infatti, l'occhio si perde su spazi immensi, si può ammirare la silhouette di Capri e si affonda lo sguardo tra un cielo ed un mare che non hanno confine.
E proprio guardando da una delle terrazze che si aprono dalla vecchia cittadella appare, d'improvviso, uno spettacolo policromo, quell'arcobaleno di calce che abbraccia il porticciolo dei pescatori, la "Corricella".

Probabilmente il luogo che più d'ogni altro richiama i visitatori, oltre che per la sua inconfutabile bellezza, anche per la rinnovata notorietà legata ad alcune scene del film "Il Postino" di Massimo Troisi, ambientato proprio tra le variopinte mura di questo incantevole porticciolo.
Passeggiando tra le piccole costruzioni ed i tanti vicoletti che le attraversano, è possibile incontrare pescatori intenti a risistemare le reti, o semplicemente, a discutere sull'ultima uscita in mare; scorgere donne che riassettano piccole case con meravigliosi balconcini; incrociare volti pieni di vita, che all'ombra di un sole, forse divenuto troppo forte, attendono con ansia di assaporare tutto ciò che questa splendida isola sa' ancora offrirgli.

Ma il tempo, si sa, non concede tregue…e mentre il sole accarezza dolcemente, il promontorio di Vivara e la "terra murata", non ci resta, nostro malgrado, che raggiungere il porto, dove ci attende la "torpediniera delle Antille"* che ci ricondurrà a casa, lasciando in noi come in Arturo, l'ansia del ritorno!!




* è il nome della barchetta che utilizzava Arturo per girare l'isola.